Maturità 2019. Simulazione di Prima Prova.

Mi parte la colonna sonora de Lo Squalo già alle 06:15, orario in cui suona la mia sveglia. Aspettiamo il Miur che dall’alto dei cieli ci invii la prova.

Dopo più di un’ora di trepidante attesa scandita da “Prof ma per sei ore non si può uscire?”, “Io devo fumare”, “E il kaffeeeeee?” ci viene fatta questa grazia. Habemus prima prova.

L’arte della felicità, Leopardi, Zibaldone.

“Bellissimo” penso. Loro mi guardano e i loro occhi dicono che Leopardi e felicità sono praticamente un ossimoro. Vorrei potergli dire che non è così ma non c’è tempo. Bisogna cominciare subito.

Cominciano a chiedermi il come il perchè se è tutto ok. Io intanto nei momenti di stop rifletto su questa questione. Leopardi e felicità. Leopardi e pessimismo.

Accostare Leopardi al pessimismo equivale ad accontentarsi di un giudizio superficiale di quella critica un pò preconfezionata da manualistica spicciola. Equivale a sbarrare il proprio cuore.

Leopardi è invece scrittore dell’animo umano, combatte perennemente contro la Natura ma mai si arrende di fronte al desiderio, allo spasimo di felicità.

Scrive di questo spasimo continuamente. E invia lettere ai suoi amici più esperienti e gli chiede: Che cos’è dunque la felicità? E se la felicità non esiste che cos’è dunque la vita?

Non lo fa per falsa modestia, lo fa perchè vuole sapere da chi gli sta intorno se anche loro si chiedono questo e se hanno una risposta. Scrive ad un amico di questa ricerca perenne indirizzata a un ideale.

Un ideale. Cos’è?

Leopardi ci dice sempre, anche in luoghi diversi dallo Zibaldone, che la vita non può essere vita senza l’esperienza di un grande amore.

Amore come speranza dell’animo umano, lo stesso di fronte a cui tutto impallidisce, tutto scompare. L’amore leopardiano è desiderio infinito, tende alle stelle, non è sacrificale, anzi è lento come la ginestra. La stessa che resiste e continua a sbocciare, non si esaurisce, non muore, anzi splende e spande il suo profumo.

Qui su l’arida schiena

del formidabil monte

sterminator Vesevo,

la qual null’altro allegra arbor nè fiore,

tuoi cespi solitari intorno spargi,

odorata ginestra…

Questo fiore del deserto che di fronte all’indifferenza , di fronte alla fine della speranza sparge comunque il suo profumo, è vitale come l’amore.

Che sia l’amore in grado di salvarci lo hanno detto anche altri. Ma questa immagine è così potente da dirmi chiaramente che l’arte di essere felici risiede nel sapersi innamorare di qualcosa più di ogni altra cosa e poi lasciarsi riempire.


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